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Psicografia


Psicografia: (dal gr. psykè, anima e gràpho scrivo) trasmissione del pensiero degli spiriti a mezzo della scrittura, per le mani dei medium

Nel medium scrivente la mano è lo strumento, ma la sua anima o lo spirito incarnato in lui è l'intermediario o l'interprete dello spirito estraneo che si manifesta; mentre nella Pneumatografia è lo spirito estraneo che si manifesta e scrive senza intermediari.

Sulla psicografia:
Tra tutte le attitudini inerenti alla medianità come mezzo di comunicazione con il mondo spirituale, la psicografia o la scrittura manuale è il più semplice, il più comodo e soprattutto il più completo.
Tutti gli sforzi devono tendere verso questo mezzo, poiché esso permette di stabilire con gli spiriti relazioni altrettanto continuate e regolari quanto lo sono quelle che esistono tra di noi.
Conviene attenervisi, tanto più perché è il mezzo con il quale gli spiriti rivelano meglio la loro natura ed il grado della loro perfezione o della loro inferiorità.
Per la facilità che hanno di esprimersi con questo mezzo, essi ci fanno conoscere i loro pensieri intimi e ci mettono così in grado di giudicarli e di apprezzarli secondo il loro valore.
La facoltà di scrivere, per un medium, è inoltre quella che è più suscettibile di svilupparsi con l’esercizio.
La scienza spiritista ha progredito come tutte le altre e più rapidamente delle altre, poiché appena qualche anno ci separa da questi mezzi primitivi ed incompiuti che comunemente si chiamavano le tavole parlanti, e si è ormai giunti a poter comunicare con gli spiriti tanto facilmente e tanto rapidamente quanto gli uomini possono fare tra di loro, e ciò con gli stessi mezzi: la scrittura e la parola.
La scrittura ha soprattutto il vantaggio di attestare più materialmente l’intervento di una potenza occulta, e di lasciare tracce che possono essere da noi conservate, come si usa per la nostra comune corrispondenza.
Il primo mezzo impiegato fu quello delle tavolette e dei canestrini muniti di matita.
Ecco qual è la loro disposizione.

Psicografia cronologia storica:
Abbiamo detto che una persona dotata di un’attitudine speciale può imprimere un movimento di rotazione ad una tavola, oppure ad un oggetto qualunque; prendiamo, invece d’una tavola, un cestino di quindici o venti centimetri di diametro (sia esso in legno od in vimini, poco importa, la sostanza è indifferente).
Se ora, attraverso il fondo di questo canestrino si fa passare una matita solidamente attaccato, la punta all’infuori ed in basso, e si mantenga il tutto in equilibrio sulla punta del lapis, collocate, esso stesso sopra un foglio di carta, ponendo le dita sugli orli del cestino, questo comincerà a muoversi; ma invece di girare, porterà il lapis in sensi diversi sulla carta, in modo da formare o segni insignificanti o caratteri di scrittura.
Se uno spirito è evocato e voglia comunicare, risponderà non più con colpi battuti come nella tiptologia, ma con parole scritte.
Il movimento del canestrino non è più automatico, come nelle tavole parlanti, ma diventa intelligente.
In questa disposizione, il lapis, arrivato all’estremità della riga, non ritorna indietro per incominciarne un’altra, ma continua circolarmente, in maniera tale che la linea di scrittura forma una spirale, e che occorre alzare più volte la carta per leggere ciò che vi è scritto.
La scrittura così ottenuta non è sempre leggibile, non essendo separate le parole; ma il medium, per una specie di intuizione, la decifra facilmente.
Si può anche sostituire la lavagna ed il gesso alla carta e al lapis.
Designeremo questo canestrino con il nome di canestrino trottola.
Al canestrino si sostituisce qualche volta una scatoletta di cartone, il lapis ne forma l’asse.
Molte altre soluzioni furono immaginate per conseguire lo stesso scopo.
La più comoda è quella che noi chiameremo, canestrino col becco, che consiste nell’adattare sul canestrino un supporto di legno inclinato, sporgente da dieci a quindici centimetri da un lato.
In un buco praticato all’estremità di questo fusto, o becco, si fa passare una matita abbastanza lunga, in maniera che la punta sia appoggiata sulla carta.
Quando il medium pone le dita sugli orli del canestrino, tutto l’apparecchio si muove ed il lapis scrive come nel caso sopraccitato, con la differenza che la scrittura è, in generale, più leggibile, le parole separate, e le righe non sono più disposte a spirale, ma come nella scrittura ordinaria.
Si ottengono così dissertazioni di molte pagine tanto rapidamente quanto nella scrittura manuale.
L’intelligenza che agisce si manifesta spesso con altri segni non equivoci.
Arrivati alla fine della pagina, il lapis fa spontaneamente un movimento per voltarla; volendo riportarsi ad un passaggio precedente, nella stessa pagina o in un’altra, essa lo cerca con la punta del lapis, come si farebbe con il dito, poi lo sottolinea.
Se poi lo spirito desidera indirizzarsi a qualcuno degli astanti, l’estremità del supporto di legno si dirige verso di lui.
Per abbreviare, egli imprime spesso le parole sì e no con segni d’affermazione e di negazione simili a quelli che noi facciamo con la testa: se egli vuole esprimere la collera e l’impazienza, batte colpi ripetuti con la punta del lapis e spesso la rompe.
Invece del canestrino, qualcuno si serve di una specie di piccola tavola fatta espressamente, da dodici a quindici centimetri di lunghezza, circa cinque di altezza, a tre piedi, di cui quello anteriore porta il lapis; i due altri sono arrotondati o guarniti di una pallina di avorio, onde scivolare facilmente sopra la carta.
Altri si servono semplicemente di una tavoletta di superficie variabile da quindici a venti centimetri quadrati, triangolare, oblunga od ovale; sopra uno degli orli vi è un buco obliquo per mettere la matita; collocata allo scopo di scrivere, si trova inclinata e si appoggia con uno dei suoi lati sopra la carta; il lato appoggiato sulla carta è talvolta guarnito di due rotelline per facilitare il movimento.
Si capisce, del resto, che tutte queste disposizioni nulla hanno di assoluto; la più comoda è la migliore.
Con tutti questi apparecchi conviene quasi sempre essere in due; ma non è necessario che la seconda persona sia dotata della facoltà medianica: ella serve unicamente a mantenere l’equilibrio ed a diminuire la fatica del medium.
Noi chiamiamo psicografia indiretta la scrittura così ottenuta, in opposizione alla psicografia diretta o manuale ottenuta dallo stesso medium.
Per capire quest’ultimo procedimento, conviene renderci conto di quello che si verifica in questa operazione.
Lo spirito estraneo che comunica, agisce sul medium, il quale, sotto questa influenza, dirige macchinalmente il suo braccio e la sua mano per scrivere, senz’avere (è questo almeno il caso più comune) la minima coscienza di quello che scrive; la mano agisce sul canestrino ed il canestrino sulla matita.
Così, non è il canestrino che diventa intelligente, ma è uno strumento diretto da un’intelligenza; non è in realtà che un portalapis, un’appendice della mano, un intermediario fra la mano ed il lapis; eliminando questo intermediario, e collocando il lapis nella mano, voi avrete il medesimo risultato, con un meccanismo molto più semplice, poiché il medium scrive come farebbe nelle condizioni normali; così, qualunque persona che scrive con l’aiuto d’un canestrino, tavoletta od altro oggetto, può scrivere direttamente.
Di tutti i mezzi di comunicazione, la scrittura alla mano designata da qualcuno sotto il nome di scrittura involontaria, è senza dubbio il più semplice, il più facile e il più comodo, poiché non esige preparazione e si presta come scrittura corrente agli svolgimenti più estesi.
All’inizio delle manifestazioni, quando si avevano a questo riguardo idee meno precise, molti scritti furono pubblicati con questa designazione: comunicazione d’un canestrino, d’una tavoletta, d’una tavola, ecc...
Si capisce oggi quanto queste espressioni avessero d’insufficiente e d’erroneo, senza considerare il loro carattere poco serio.
Difatti, come noi abbiamo appena visto, le tavole, le tavolette ed i canestrini non sono che strumenti senza intelligenza, quantunque momentaneamente animati da una vita fittizia, e che nulla possono comunicare per sé stessi; ciò sarebbe prendere l’effetto per la causa, lo strumento per l’agente; tanto varrebbe che un autore mettesse nel frontespizio della sua opera, che egli l’ha scritta con una penna metallica od una penna d’oca.
Questi strumenti, d’altra parte, non sono assoluti.
Conosciamo qualcuno, che invece del canestrino trottola da noi descritto, si serviva d’un imbuto, nel collo del quale egli passava la matita.
Ciò che importa conoscere, non è la natura dello strumento, ma il modo con cui si ottiene la comunicazione.
Se la comunicazione ha luogo per mezzo della scrittura, di qualunque natura sia il portamatita, noi chiameremo ciò psicografia; se per mezzo dei colpi, tiptologia.